Pakelo Magazine: Bicilindrico in Africa?
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Paolo Caprioni è il tipo di persona che ammiri perché non si è fatto fregare dalla vita di ogni giorno. Bolognese di nascita, trasferito a Ferrara per amore, rinuncia da giovane alla pista e alle moto dopo un brutto incidente. “Mette la testa a posto” e si dedica alla carriera di hair stylist aprendo una serie di saloni. Una quindicina di anni dopo lo sgambetto glielo fa suo fratello Stefano che si presenta a casa con un bicilindrico nuovo di zecca. Nel giro di poco si ritrovano con due KTM LC8 imbarcati da Ancona destinazione Grecia per partecipare all’Hellas Rally. Da 0 a 100 in un battibaleno, si ritrovano in una gara da 160-250 km di speciale al giorno moltiplicato per sette. Zero assistenza, zero preparazione atletica. Finito il Rally Stefano e Paolo tornano con due sole cose in testa: 1. Fondare un team votato al bicilindrico, 2. Modificare la KTM di serie per renderla più competitiva. Perché se tutti fanno i rally con il mono poi che gusto c’è?
Stefano diventa lo sviluppatore ufficiale del team impegnato a rendere più performante la moto, Paolo l’ariete che sfonda le porte di tutti i rally d’Europa superando i propri limiti, non senza fatica, non senza sacrificio. Nel giro di qualche anno fondano il Team Kapriony e avviano i progetti “Zaira” ed “Elvira” di bicilindrici su base KTM che attirano l’attenzione dei media e dei tanti che come loro pensano solo.
Senza Bicilindrico non c’è Sfida
Paolo, com’è nato il Team Kapriony?
In realtà il Team Kapriony è nato grazie all’influenza di due cari amici. Il primo è Alessio Corradini, conosciuto sui social. Un pazzo! (ride) Un fotografo che segue i rally in Africa in sella a una LC8 da una vita (e spesso va forte più dei piloti!). E l’altro è Fausto Gresini, che è venuto a mancare di recente. Lui ci ha presentato un grosso sponsor con cui abbiamo iniziato a fare i primi rally nel 2012. Corradini ci ha sfidati a fare un team di soli bicilindrici dicendo che non ne eravamo capaci e alla fine è diventato pure lui membro onorario del team. Col tempo abbiamo conosciuto il meccanico del mitico campione dakariano Fabrizio Meoni, Romeo Feliciani che ci ha aiutato molto con la preparazione della moto per i rally raid.
Qual è stato il tuo primo rally in Africa?
Se vogliamo dirla tutta la prima volta in Africa è stata al seguito del Team Valentini. Era il 1986 ed io e un mio amico scendemmo con due Camel 500 Morini e ci agganciammo in Algeria alla carovana della Parigi Dakar. Eravamo abusivi (ride), ed è tanto se ci davano da mangiare alla mensa! Poi successe l’incidente in elicottero dove perse la vita il fondatore della Parigi Dakar, Thierry Sabine e molti tornarono indietro. Anche noi, solo che il viaggio di ritorno è stato una specie incubo. Tra perdere la strada, un mezzo sequestro e i soldi finiti siamo dovuti andare in ambasciata per riuscire a tornarcene a casa. Comunque, il primo rally vero africano che ho fatto è stato il Merzouga Rally nel 2015. Nel 2017 invece la prima Africa Eco Race, che ricalca parte del percorso della vecchia Dakar.
Durante l’ultima AER del 2019 hai avuto modo di provare un monocilindrico?
Ecco, questa è la domanda che mi fanno tutti. Nel 2019 ho iniziato la gara con un bicilindrico e l’ho finita con un mono che mi è stato prestato da un pilota che si era ritirato, perché ho avuto un guasto alla mia moto. Quindi ho provato entrambi a parità di condizioni. Il confronto è stato spietato. Considera che noi il bicilindrico lo spogliamo al limite per farlo pesare meno, ma sotto i 210 kg compresa la benzina non andiamo. Un mono pesa 130-138 kg e vola sulle dune. Il corpo fa meno sforzo, ma ha anche meno stabilità. Ho dovuto cambiare impostazione di guida, paradossalmente bisogna tenere aperto quando l’istinto ti dice di chiudere. E ho dovuto imparare a cadere bene! Sono caduto talmente tante volte alla prima tappa in mono che volevo finirla lì. A livello di velocità una volta il mono arrivava massimo a 130 km/h ma oggi in condizioni buone di terreno arriva ai 160 km/h. Con un bicilindrico arrivi ai 200-210 km/h ma è raro che si presenti l’occasione di poter correre così tanto. Tutti mi chiedono perché ostinarsi a correre con un motore bicilindrico quando il mono è nato per questo. Io mi dico, che sfida c’è a fare le cose che fanno tutti gli altri? Quindi bicilindrico tutta la vita.
Quali sono le modifiche principali rispetto ai modelli di serie?
La prima Africa Eco Race che abbiamo fatto è stata con “Zaira”, una KTM LC8 originale alleggerita. Poi siamo passati ad “Elvira” che era un prototipo sempre su base KTM LC8 con telaio Meoni e un ammortizzatore posteriore Pro-Link. Le modifiche principali le abbiamo fatte per salvare gli strumenti dal surriscaldamento della moto. Il bicilindrico è potente e alla lunga bolle tutto, abbiamo lavorato sull’apparato di raffreddamento.
Quali sono le manutenzioni principali in gara?
La moto è tutta revisionata con assetto da competizione. Ogni sera facciamo manutenzione in parco assistenza tra le 3-5 ore. Salvo rotture particolari si deve rinsaldare tutta la bulloneria. Almeno il 30% salta durante le speciali e il resto si allenta. I mono tendono a cambiare olio motore tutti i giorni, mentre noi con il bicilindrico lo facciamo ogni 2.000-3.000 km, quindi ogni due giorni.
Come pilota come ci si prepara ad un rally nel deserto in moto?
Il fisico serve al 99,9% soprattutto se sei sopra una certa età (ride). Per fare un minimo risultato bisogna allenarsi 4-5 mesi almeno con un medico sportivo o un preparatore atletico. A livello mentale bisogna imparare a restare concentrati. Il vero problema di un rally è che hai molto tempo per pensare. Se la mente si stacca dagli strumenti e dal terreno, o peggio se segui le tracce aperte da quelli prima di te per riposare qualche ora, è lì che ti freghi. Questo rischio ce l’hai ad esempio alla 2° e 3° tappa dell’Africa Eco Race in Marocco. La presenza mentale è tutto.
Qual è la tua paura più grande in gara?
Alcuni hanno paura di affrontare il terreno del deserto, chiudono gas perché non sanno cosa mai cosa aspettarsi, ma chi ha fatto velocità come me da ragazzo questa paura non ce l’ha più di tanto. Tieni aperto e basta. Un’altra paura comune è quella di perdersi. Vero che ormai ci sono GPS e perdersi oggi non è come perdersi negli anni Ottanta, ma la paura del nulla è reale. Per quanto mi riguarda non ho neanche questa paura. Andare in barca mi è servito perché ti abitui ad accettare di non sapere esattamente dove sei. L’ho vista come una situazione mentale simile. La mia paura più grande? Onestamente che si rompa la moto. Cerco sempre di cadere il meno possibile per risparmiare la moto! La soddisfazione più grande sarebbe fare un rally senza intoppi dall’inizio alla fine. Mai dire mai.